Ultimamente assistendo alle faccende politiche, assisto a gente che si lamenta. Lamentarsi ormai è diventata un’operazione politica e assai peggio uno sport nazionale. Una volta si diceva “canta che ti passa” ora invece il detto è “lamentati, tanto non passa”.
Esiste un detto tibetano, in un testo bellissimo che si chiama Bodhisattvacharyavattara (la via del bodhisattva) di Shantideva, che dice: ” Se hai una soluzione al tuo problema applicala, non serve soffrire. Se non hai una soluzione al tuo problema che soffri a fare?”.
Riflettevo proprio su quest’insegnamento estendendolo alla varietà e alla ricchezza dell’umanità. Questo testo è del 700 d.c. e da allora le cose non sono molto cambiate, la gente preferisce lamentarsi, ma qui il problema sta diventando cronico. Come se si effettuasse una catarsi attraverso la lamentela. E di fatto è così.
Lamentarsi, ci fa sentire la nostra posizione con forza, il nostro disappunto per la situazione disagiata in cui viviamo, ma di fatto non cambia nulla nelle cose che viviamo. Mi viene in mente la frase che citò Saviano l’altro giorno al Palasharp: “A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?” Ed è proprio questo il nocciolo della faccenda. Prendere le distanze da qualcosa senza fare nulla perchè le cose cambino è il nostro grande male. Ci hanno resi impotenti anche nella volontà. In questo modo ogni atto rivoluzionario e pensiero discordante non può che effettuare una piroetta sulla lingua e continuare a giacere sul fondo del buonsenso tra cuore e cervello.
Un esempio su tutti, lo porto dalla mia vita personale. Un uomo ignaro del suo compito mi ha insegnato a riflettere e dire no. Ero in panetteria, avevo fame, ho chiesto un pezzo di focaccia bianca. Un pezzo piccolo, neanche troppo grande. Ero sicuro non avesse dello strutto e mi faceva molta gola. Il panettiere incarta la focaccia e mi dice: “5euro!”. Sbigottito di pagare 5 euro un pezzetto di focaccia abbasso lo sguardo e prendo i soldi, lui mi guarda con serenità e mi dice: “Siamo diventati questo? Non protestiamo più alle ingiustizie? Subiamo, mettiamo le mani in tasca e paghiamo anche se non è giusto. La focaccia costa 1 euro!”. Mi ha spiazzato, sbalordito, stavo scivolando anch’io nel “che ne posso sapere, se è così non potrebbe essere altrimenti”. Da quel giorno ho imparato a dire no, e a pensare anche quando faccio la spesa non solo nelle grandi evoluzioni di pensiero. Mi è capitato di rifiutare acquisti per prezzi a mio avviso ritenuti gonfiati o non giusti. Una coscienza economica di questo tipo renderebbe il mercato meno criminale. Se si abbassa la domanda i prezzi sono destinati a scendere. E’ una legge matematica.
Tutto questo per dire che, meglio agire, fare qualcosa per modificare gli eventi che lamentarsi e basta. Lamentandoci facciamo solo sangue amaro e scocciamo chi ci sta a sentire. Facciamo qualcosa di veramente importante impariamo a dire NO, a dire NON CI STO. Le cose cambieranno. Poi impareremo a dire FACCIAMO COSI’…
Sono d’accordo.
Questa del saper dire no è una cosa su cui anche io ho riflettuto molto.
E ogni volta che sono riuscit aa farlo, mi sono sentita libera.
Grazie Paola. A volte rifiutarsi è catartico, aiuta a vedere meglio le cose e a non svendersi per compromessi inutili. Il tuo no, associato ad altri, permetterà in futuro di non ricevere più abusi di quel tipo…
Mi hai lasciato di stucco, hai riassunto in maniera ed efficace una delle faccie della libertà. grazie a te e pure a quel panettiere ch ti ha illuminato.
E.
Grazie a te Elisa, sono felice ti sia piaciuto il post! 🙂
Ti Penso !!!
Grazie Flavietta anch’io!
ecco.
quel testo lo cito anch’io da quando lamia saggissima nonnina me ne mise a conoscenza, avevo più o meno 13 anni.
e siamo in perfetta sintonia con la domanda e offerta e il rifiuto di pagare un prezzo ritenuto iniquo.
e non c’entra niente ma la prossima volta che reciti vorrei venirti a vedere.
ciao bellezza :))
B.
Non vedo l’ora di lavorare a Milano e farvi venire tutti a vedere il mio spettacolo! 🙂