Beh, si, probabilmente si in generale.
La mia domanda è personale. Mi chiedo se esista ancora la possibilità di amare e di essere amato ancora oggi.
Personalmente credo di non essere innamorato da 4 anni. Da quando ho chiuso la mia ultima vera “storia”.
Sono passati 4 anni in cui ho fatto di tutto per cercare qualcuno da amare e che mi amasse a mia volta. La maggior parte delle volte le altre persone non si sono fermate. Solo una volta sono inciampato in una persona che non voleva lasciarmi andare ma era una situazione piuttosto malata ed era più l’idea di stare con qualcuno che Amore.
Mi capita di tanto in tanto di vedere film o serie in cui due persone si stringono la mano, si abbracciano, si perdono l’una nell’altra.
Quello che mi capita di pensare guardando queste immagini è: a me ormai non capiterà mai più. Ho provato, ho veramente amato molti dei miei ex, ma ora, ormai, ogni nave è salpata e ogni treno è partito.
Il mio psicoterapeuta sostiene che non sia vero, e che a 36 anni non è un pensiero che dovrebbe albergare in me.
Ovviamente lo fa in maniera bonaria. E lo capisco. Lui è molto supportivo e lo capisco.
Però ciò non toglie, soprattutto da quando sono a Berlino, che non riesco mai a superare il primo appuntamento o la prima settimana di frequentazione. E tutto questo è deprimente.
Esistono una serie di questioni legati a varie cose che ho trovato:
- La sindrome da “ape maya”: il desiderio spasmodico, insano a mio avviso, di voler prendere ogni occasione, assaggiare ogni fiore della prateria dimostrando una bulimia sessuale.
- La sindrome da “c’è sempre qualcosa di migliore che potrebbe accadermi”: esci con qualcuno, ti piace, ma pensi che avrai occasione di conoscere qualcuno di meglio. La ricerca non si assesta mai. Prosegue e continua e si diventa accumulatori seriali di appuntamenti. Senza mai fermarsi a conoscere davvero qualcuno.
Queste due sindromi che ho notato sono originate entrambe, a mio parere, dal problema di sentirsi bene e all’altezza. A un primo appuntamento, o ai primi, si cerca sempre di dare il meglio di se. Di performare un ruolo in cui mettiamo in mostra le cose belle che abbiamo e che sappiamo. Dopo, nel lungo termine, dovremmo dimostrare all’altro che abbiamo anche cose di cui non andiamo fieri, siamo magari pigri, svogliati, o semplicemente possiamo anche essere noiosi.
Usiamo dunque l’altro, per ricordarci e vederci attraverso i loro occhi come vincenti, validi, capaci e interessanti. Quando però si avvicinano troppo, quando vogliono o vorrebbero vedere di più, ci sottraiamo perchè quelle altre parti noi non vogliamo vederle.
Ora, io probabilmente ho molta sfortuna e capito con gente del genere. Ma temo che la sindrome di vetrina da social in cui si mostra solo il bello, solo le figate che facciamo, ci porta anche nei rapporti umani a stare in quei rapporti in cui risultiamo vincenti e fuggiamo dalle cose che ci costringono o ci porterebbero a confrontarci con noi stessi e magari fermarci a vedere, contemplare ciò che non ci piace e, peggio ancora, cercare di porre rimedio.
Sarebbe opportuno ma comporta sacrificio e sofferenza per raggiungere il proprio risultato. Conviene, a molti, lasciare le zone ombra all’oblio e farsi vedere solo per il lato luce.
Ma serve tutto questo?
Io mi sento un alieno in questa narrazione sociale odierna. Sono diverso, e amo andare a fondo alle cose, meditarci, sporcarmici, assaggiare tutto e poi capire cosa è buono e cosa no.
Non nascondo che sia stancante, ma mi sento molto solo in questo modo di vivere. Vi capita? Sbaglio?