La domenica nella mia mente è quella giornata silenziosa e grigia, uggiosa e fredda, in cui nessuno è in giro, sono tutti a casa a riposare e rilassarsi, magiare in famiglia. Mentre io, devo andare a mangiare al ristorante. nemmeno ristorante ma trattoria, di quelle più becere. dove mentre mangio c’è un banchetto di matrimonio di tasci, la comunione di principesse vestite di bianco con nonni tirati fuori e tirati a lucido per l’occasione, zii impresentabili che escono con le loro facce malconce dal troppo alcol, troppo fumo e troppi stenti. Bambini chiassosi che gridano e si rincorrono mentre una radio rotta, che è mio padre, blatera e parla di progetti futuri, falliti nell’idearsi e che si sciolgono come neve appena caduta su un tombino fetido pieno di acqua calda buttata in strada dalle signore che vivono a pianterreno e hanno appena lavato casa. è suono di portiere di macchine che si chiudono nel freddo, e con quel clank si chiude il mio sentire. Anestetizzo l’anima, il volere e la ragione. devo aspirare fumo, tappare il senso dell’udito, guardare fuori sperando di essere da qualsiasi altra parte. Sono sazio, pieno, di cibo unto che so mi farà vomitare, ma mi tiene impegnato a tenere il vomito e posso concentrarmi solo su quello perché è l’unica sensazione fisica che ho per sentirmi vivo. Per sapere che sono realmente li. come nei film quando si chiedono un pizzicotto per essere sicuri di non stare sognando. Fa freddo. Freddo fuori glaciale rispetto ai 60 gradi dell’abitacolo se inverno, freddo dentro a 15 gradi se è estate. il freddo è sempre presente. lo sbalzo di temperature tra tortura e aria è sempre netto, e ti schiaffeggia non appeni lasci l’abitacolo.Dopo mille giri e quasi un paio d’ore, o potremmo dire un paio d’ere tanto lungo sembra essere stati chiusi lì dentro, torno a casa. Puzzo di fumo di sigaro, mi sento vuoto, sembro sotto shock. Non capisco dove sono e cosa penso. ci si piazza davanti a un televisore, sperando nel tepore della casa. Sento odore di arance e mandarini. la tv parla, le immagini si susseguono, non le sento, ma sono cose allegre almeno. inizio a riprendermi ma sono totalmente fuori di me. Non ho sentimenti. e allora, anche se ho mangiato troppo a pranzo, ceno per ritrovarmi. Divento il mio carnefice, ma è l’unico modo non violento di sentire che sono vero.