Voglio lasciare a Pedro Salinas la possibilità di parlare di quello che provo.
Eterna presenza
Non importa che non ti abbia,
non importa che non ti veda.
Prima ti abbracciavo,
prima ti guardavo,
ti cercavo tutta,
ti desideravo intera.
Oggi non chiedo più
né alle mani, né agli occhi,
le ultime prove.
Di starmi accanto
ti chiedevo prima,
sì, vicino a me, sì,
sì, però lì fuori.
E mi accontentavo
di sentire che le tue mani
mi davano le tue mani,
che ai miei occhi
assicuravano presenza.
Quello che ti chiedo adesso
è di più, molto di più,
che bacio o sguardo:
è che tu stia più vicina
a me, dentro.
Come il vento è invisibile, pur dando
la sua vita alla candela.
Come la luce è
quieta, fissa, immobile,
fungendo da centro
che non vacilla mai
al tremulo corpo
di fiamma che trema.
Come è la stella,
presente e sicura,
senza voce e senza tatto,
nel cuore aperto,
sereno, del lago.
Quello che ti chiedo
è solo che tu sia
anima della mia anima,
sangue del mio sangue
dentro le vene.
Che tu stia in me
come il cuore
mio che mai
vedrò, toccherò
e i cui battiti
non si stancano mai
di darmi la mia vita
fino a quando morirò.
Come lo scheletro,
il segreto profondo
del mio essere, che solo
mi vedrà la terra,
però che in vita
è quello che si incarica
di sostenere il mio peso,
di carne e di sogno,
di gioia e di dolore
misteriosamente
senza che ci siano occhi
che mai lo vedano.
Quello che ti chiedo
è che la corporea
passeggera assenza,
non sia per noi dimenticanza,
né fuga, né mancanza:
ma che sia per me
possessione totale
dell’anima lontana,
eterna presenza.
Che posso aggiungere a queste parole pazzesche? Non ce la potrei mai fare. Riesce come un pittore con pochi gesti, pochi versi, a rinchiudere l’umano sentire e farmi ubriacare delle sue parole immense.
Mi sento proprio così io. Mi capita di toccare le mie braccia alla ricerca di trovare la forma della persona cara. Quando mangio o sorrido sento sulle labbra la forma delle labbra baciate.
Nell’assenza dell’altro ritrovo e cerco quella presenza che è altro.
Mi capita spesso di cercare l’odore di quell’incenso sentito insieme a quell’angolo sotto i portici, per poterti riguardare negli occhi, i tuoi occhi impressi nei miei che ora non ci sono ma li vedo.
Rifare la sera, quella storia e sorridere con quella persona che non c’è fisicamente, ma la senti camminare li accanto a te. Ne senti i passi, i rumori, i sorrisi.
bevi quel vino che sai che gli piaceva tanto bere quando eravate insieme.
Aspetti con forza il momento di rivedersi, per avere conferma che non sei pazzo, e fai il pieno di nuovi e meravigliosi ricordi che poi riporterai in giro con te.
Come guardare il paesaggio dal finestrino del treno, mentre corri veloce, come il battito del tuo cuore, immaginando lo sguardo e la felicità che avrebbe a guardare lo stesso paesaggio.
Raddoppiare il piacere, di tutto, anche delle piccole cagate al correre dei bambini.
Questo è per me essere innamorati, una magia, una poesia, una solitudine che cammina.
Essere insieme non sempre è esserlo fisicamente. Ma amare si, si può anche in assenza.
Tante, tantissime volte ho dialogato con le assenze, e forse egoisticamente personalmente le ho trovate molte volte più eloquenti di ingombranti presenze.
Avete mai amato un’assenza? o un’essenza?