Torino, Barriera Nizza, una sera di nebbia. Un giovane tranviere comunista, caduto, mentre rincasa, in un agguato fascista, si difende, risponde al fuoco ferendo a morte due squadristi. È l’antefatto, il “pretesto” della Strage di Torino del dicembre ‘22, rappresaglia feroce contro la città antifascista che “meritava una lezione”. Per molti il battesimo di sangue del Ventennio. A guidare l’azione punitiva, Piero Brandimarte, famigerato “console” della squadraccia d’azione piemontese “La Disperata”, in testa a un migliaio di camicie nere armate di manganello, pistole e moschetti. La violenza dilaga. Brucia la Camera del Lavoro, il circolo anarchico dei ferrovieri, la sede di Ordine Nuovo. Gli “arditi” piombano nelle case, nelle osterie, nelle botteghe. Sprangano, torturano, uccidono uomini sull’uscio di casa, davanti a familiari atterriti, li trascinano lungo i burroni, li finiscono a bastonate. Ufficialmente i caduti saranno 11, ma gli stessi caporioni neri parleranno poi di venti, trenta morti, oltre decine di feriti. Soddisfatto, Brandimarte dirà “…giustizia è stata fatta”. E Mussolini, telefonando al Prefetto di Torino …“come capo del fascismo mi dolgo che non ne abbiano ammazzati di più”.
Giovanna Gabrielli
Fonte: il fatto quotidiano (17 Dicembre 2010)